Il male d’amore
Il male d’amore
tratto da un articolo del Dott. Frigoli a cura di A. Monti*
La nostra è un’epoca storica assai curiosa: da un lato una scienza e una tecnica sempre più avanzate ci il danno il senso di un illusorio dominio sulla vita; dall’altra, mai come in questo momento l’uomo vive un’esperienza di estraniazione della propria soggettività e, direi quasi, di alienazione da tutto ciò che è naturale e vitale. L’amore, come fatto specificamente umano, rientra in questo fenomeno di frattura, tanto che nel linguaggio comune è d’uso corrente la distinzione fra il “fare l’amore” dall’“essere innamorati”. Anche la psicoanalisi, che tanto ha contribuito alla conoscenza dell’uomo, sembra curiosamente essersi occupata più della patologia che della fisiologia dei fatti umani. Il risultato di tutto ciò è che molti aspetti naturali dell’animo umano, tra i quali l’amore, nel loro farsi “domanda” e “appello” fanno riferimento a un discorso riproposto dai cultori dell’immaginario - i letterati e i poeti cioè - piuttosto che dagli psicologi, in quanto questi ultimi, abdicando al ruolo di “ermeneuti” finiscono per favorire una dimensione più asettica e unilaterale del loro operare, quella di “scienziati della psiche”. La vita amorosa è una costellazione di emozioni, una geografia di sentimenti, una morfologia di domande e di risposte, tese a superare la dimensione ordinaria dell’individuo, a favore di un’esperienza di ampliamento della propria coscienza sino al culmine di un “confondersi” reciproco oltre il quale si assapora la più perfetta felicità. Per questo l’amore, oscillante fra “sospiri” e “verità”, spesso lo si definisce come una “malattia” o addirittura come “follia”, in quanto la sua stessa fisiologia, se così si può dire, è come una magica fonte che, inebriando l’uomo innamorato di un piacere bruciante e infinito, contemporaneamente ne placa la sete di felicità e di passione. Ecco perché ogni amante, pur conoscendo le gioie amorose come le più grandi che l’uomo possa provare, tacitamente accetta anche quel gioco sottile di perenne tortura della passione che rende l’amore fonte di dolore e di disperazione, oltre che di felicità. È come se la conoscenza dell’amore autentico, quello che i poeti definiscono “amore-passione”, implicasse per l’amante l’assaporamento contemporaneo del piacere e del dolore fusi fra loro in una combinazione inestricabile e contemporanea, quasi che si fosse posti di fronte più che a un’emozione distinta - il piacere piuttosto che il dolore - a un archetipo della stessa, come tale riassuntivo delle polarità opposte. Nell’amore accade una strana metamorfosi sperimentata da tutti gli innamorati: l’oggetto amato, l’esistenza personale, il tempo, lo spazio, tutto si trasfigura e si dilata in virtù dell’immaginazione dell’amante. Frequentemente infatti l’innamoramento si serve di metafore quali «mi sembra di averti sempre conosciuta», come se lo “spazio” vissuto, riempito dalla donna amata, fosse non più personalizzato, ma universale, quasi che la partner assumesse ai suoi occhi un aspetto totalizzante e infinito, oltre la dimensione dell’individuo in questione.
Così il “tempo” sembra estendersi in una cronologia di eventi, ciascuno importante di per sé, perché con la persona che si ha di fronte si intesse di attimi totali da assaporare fino in fondo, per gustarli tutti sino allo stordimento più intenso. Sono i momenti in cui non basta più sentire la voce della persona amata, ma la si vuole ‘‘vedere’’, “toccare”, “gustare” in una sorta di contemporaneità sensoriale tesa a trascendere la pura e semplice presenza fisica, per assurgere a quella dell’anima.
Ci innamoriamo solo della nostra “ombra”?
L’amore paralizza completamente la capacità di giudizio dell’uomo. L’amante, infatti, non si limita a non vedere la realtà, ma la rimpiazza con una visione fantastica; non si limita a non vedere l’oggetto d’amore qual è, ma si spinge fino a modificarlo integralmente, fino a crearsi, con la forza dell’immaginazione una sorta di oggetto d’amore ideale, che rappresenta la realizzazione di ogni suo desiderio. L’amore, dunque, non è cieco ma piuttosto “visionario”. Si può affermare che l’amore, nel suo slancio pulsionale, cristallizza un ideale scaturito dalle profondità inconsce del soggetto innamorato e che investe, come una proiezione, l’oggetto d’amore reale. Ma, se l’oggetto d’amore alla fine non è altro che un’immagine, un’ombra, se ne può concludere che nessuna unione reale è possibile con esso, nessuna romantica fusione.
Certo possiamo concretamente amare la partner che ci ha attratti, ma si potrebbe con altrettanta ragione sostenere che non è lei che amiamo, ma la sua ombra, o meglio, la nostra cristallizzazione proiettata sulla sua figura, in un gioco caleidoscopico di immagini splendide e cariche di perfezioni create dalla nostra immaginazione. Un uomo appassionato non vede più i difetti e le manchevolezze della persona amata, ma insegue il suo sogno di perfezione, l’ideale personale della sua anima.
Ma l’amore basta all’amore
Se ne deve concludere allora che la “felicità dell’illusione” è la sola possibile in amore? In una certa misura sì, a patto che si eviti di considerare la “felicità dell’illusione” come una “felicità illusoria”, termine quest’ultimo che contiene in sé una connotazione spregiativa, carica di significati di falsità e di apparenza, di contro a una “felicità” sentita come vera e reale. In effetti proprio la “felicità dell’illusione” è l’unica vera in amore, oltre che l’unica possibile, in quanto il vero oggetto d’amore è solo l’immaginario. Per questo tutti i poeti hanno sempre enfatizzato il senso d’infinito nascosto fra le pieghe recondite dell’amore: se l’amore è un sogno, un’illusione, conoscere questo sogno è indirizzarsi, come diceva Rilke, al “Nirvanico-aperto”, al “Tutto senza confini”. «L’amore non dà nulla fuorché se stesso. L’amore non possiede, ne vorrebbe essere posseduto, poiché l’amore basta all’amore...». Queste sono alcune stupende parole di Gibran nella sua opera Il profeta, e anche qui risuona netto il senso della realtà dell’amore, che è il suo farsi “evento”, al di là di ogni categoria conosciuta, di ogni legge prestabilita.
* a cura della Dr.ssa Alessandra Monti, psicologa psicoterapeuta